La chiusura delle scuole a Como da parte dell’amministrazione cittadina non è che la punta di un iceberg. La città di Como e le amministrazioni che l’hanno gestita negli anni, non sono state lungimiranti e nessun investimento sulle strutture scolastiche e non solo. Il patrimonio complessivo dell’edilizia comunale non vede interventi significativi o nuovi interventi da moltissimi anni, mentre tanti sono gli edifici comunali che necessitano di interventi. Complice di questa condizione è stato in passato il disinvestimento strutturale da parte dei governi in ambito di edilizia pubblica, con il contestuale sostegno di investimenti pubblici sul privato.
I limiti alla spesa pubblica, i blocchi sulle assunzioni hanno innescato un effetto a cascata importante a livello locale. Le responsabilità delle condizioni attuali della nostra città sono anche frutto di scelte fatte nel tempo a livello nazionale oltre che locale da parte di chi ha amministrato il paese e la città.
L’amministrazione comunale, piuttosto che invertire la rotta, sta contribuendo allo smantellamento del sistema dei servizi pubblici. Sei scuole della città non saranno operative dal 2025, due asili nido sono stati già chiusi e svuotati, gli edifici pubblici necessitano di importanti ristrutturazioni e manutenzioni, i concorsi comunali per personale educativo non ci sono, le associazioni sono state sfrattate: è chiaro che l’attuale amministrazione locale interpreta il sistema di welfare pubblico come un “carrozzone” da ridimensionare. Noi ci domandiamo quale sia l’idea di città di quest’amministrazione.
Sicuramente sulla scelta di chiudere dei plessi scolastici pesa l’oggettiva diminuzione del numero degli alunni per plesso dovuta al calo delle nascite, ma la presenza delle scuole ha un valore per il territorio che merita una valutazione più ampia, condivisa con gli attori sociali del territorio che invece sono rimasti esclusi da ogni possibilità di lanciare controproposte anche in merito all’utilizzo degli spazi pubblici a fini sociali.
Dove vengono compressi i servizi ai cittadini la città non investe sul proprio futuro. Le nascite sono in calo da tempo, ma il servizio pubblico deve essere anche diseconomico quando è necessario per il benessere e per il futuro dei cittadini.
La scelta di una Como turistica con affitti alle stelle e senza investimento sul lavoro di qualità sta allontanando le persone dalla città con il rischio di trovare una Como svuotata quando la bolla turistica si sarà ridimensionata.
Nel nostro caso si attiva un circolo vizioso “se non ci sono servizi e strutture sociali, educative, scolastiche, aggregative ed anche abitative come è possibile immaginare di costruire una famiglia?”. Razionalizzare e fare un ragionamento meramente economico (qui e ora) rischia di essere un problema enorme per il nostro futuro. Provare invece a sperimentare nuove forme di progettazione delle politiche locali, prendendo spunto da quei paesi che hanno fatto i conti con la denatalità da molto tempo potrebbe essere una strategia. Serve investire sugli edifici pubblici che sono stati trascurati troppo a lungo, tutti, servono stimoli e alleanze, tra enti del territorio e perché no, anche con il mondo del lavoro e imprenditoriale e con il tessuto produttivo della città. Noi chiediamo che venga aperto un dibattito non solo interno all’amministrazione comunale, ma che sia rivolto a tutti i soggetti che a Como sono interlocutori validi e propositivi (del mondo del lavoro, delle scuole, alle parrocchie e delle realtà associative e di volontariato). Aprire una discussione ed un confronto su: quale Como vogliamo? può diventare un dibattito che va oltre le mura di palazzo Cernezzi, in un’ottica di valorizzazione delle esperienze e di promozione delle idee.
Quello che sarà della nostra città è patrimonio di tutte/i , la responsabilità di averne cura non è appannaggio dei soli amministratori locali ed è importante che anche le scelte di maggiore rilievo siano patrimonio diffuso e condiviso.